Si eleva su un’altura di 568 metri, che emerge da una conca formata dai monti circostanti: Tolve, con i suoi 3500 abitanti.
A Tolve splende sempre il sole ed è per questo che viene chiamata "Napolicchio".
Il suo nome deriverebbe, secondo lo storico Giacomo Racioppi, da Terra Ulvae cioè terra dell’ulva, una pianta palustre di terreni acquitrinosi della famiglia delle alghe. Recenti ricerche hanno invece attestato l’origine puramente lucana del nome che deriverebbe da un arcaico Tlave.
Alcuni scavi, effettuati alle falde del monte Moltone, dimostrerebbero la presenza dell’uomo, in questo territorio a partire almeno dal VI-V millennio a.C. Al VII e al IV secolo a.C. risale la costruzione delle ville romane del Moltone e della Piana di san Pietro. Queste sono case coloniche autonome di grandi dimensioni e straordinariamente moderne per l’epoca. Infatti, nella villa del Moltone, è stato ritrovato uno spazio adibito a bagno, con condotte di scarico che, all’epoca del ritrovamento rappresentava l’esempio più antico al mondo, tanto che, ancora oggi, gli archeologi identificano strutture simili come “Modello Tolve”. Un incendio distrusse la villa che venne abitata stabilmente fino al III secolo a.C.
Il primo documento su Tolve risale al Medioevo. Si tratta di un documento bizantino del 1001, dove cinque cittadini della città fortificata di Tolve sono menzionati in una disputa territoriale tra Tricarico e Acerenza. Tolve era un importante centro del culto greco – bizantino amministrato da vescovi soggetti al patriarca di Costantinopoli. I Bizantini non distavano molto lontani da lì avendo una loro chiesa strategicamente importante nel villaggio di Tolve, al confine tra le terre di due principati longobardi, quello di Salerno e di Benevento, nonché vicino all'antico vescovato latino di Acherunzia.
Nel XII secolo è uno dei feudi dei Sanseverino della Contea di Tricarico. Compare tra i feudi che appoggiarono la corte Sveva nella ripresa del controllo del Regno dopo gli anni di incertezza seguiti alla morte di Federico II e infeudato da Galvano, zio di Bianca Lancia.
Nella metà del XIV secolo successivo entrò a far parte del cospicuo possedimento dei marchesi Pignatelli di Monteleone, una delle famiglie più potenti dell’intero Regno di Napoli, che ne mantennero la giurisdizione fino alla dichiarazione di regio demanio del 1583, quando Tolve si svincolò dai suoi feudatari, passando sotto il diretto controllo della corte vicereale di Napoli.
Dopo una breve parentesi di autonomia amministrativa, il paese fu messo in vendita ancora una volta e fu acquisito dai Capece Galeota, e quindi dai Pignatelli di Monteleone.
Il 10 dicembre 1759 fu l’anno dell’autonomia. Le novità culturali e politiche che giungevano dalla Francia rivoluzionaria, trovarono in Tolve terreno fertile alla loro accoglienza. Il paese fu al centro di questa temperie politica e culturale grazie a don Oronzo Albanese. Egli diede enorme vigore a questa nuova spinta democratica, convinto di poter attuare un progetto di società più attenta ai bisogni degli umili e lasciando segni tangibili anche nelle generazioni future, quando i tolvesi, risposero tra i primi all’appello dei soldati di Garibaldi. E’, dunque, Oronzo Albanese, il personaggio più illustre della storia tolvese.
Il paese conserva un gradevole centro storico di struttura medievale nel quale si accede attraverso l’Arco delle Torri del XVII – XVIII secolo ed è collocato nella cinta muraria del XII secolo della quale rappresentava uno dei varchi principali. Vi è anche un arco in pietra bagnata databile ai secc. XVII e XVIII, ricostruito probabilmente quando venne ristrutturata l’antica cinta muraria e, sulla sua sinistra, una delle tre torri superstiti. Superato l’arco si passa sotto una volta a botte che sorregge parte delle costruzioni che, negli anni, si sono addossate alle mura.
Qui si affaccia la chiesa di S. Pietro, anticamente appartenuta ad un monastero benedettino oggi scomparso, di cui parlano alcuni documenti dei secc. XII e XIII. L’edificio attuale è costituito da una piccola chiesa mono-aulata, eretta lungo il perimetro fortificato dell’abitato medievale. Vicino la chiesa, scorgiamo l’ex palazzo governativo, oggi Palazzo del pellegrino, un edificio di modeste dimensioni, arricchito da un portale in pietra lavorata, mensole e loggia, databile al XVI secolo. Al suo interno si conservano ambienti coperti da volte a crociera. Nel palazzo sono stati recentemente trasferiti i numerosi ex voto a S. Rocco prima conservati nella sagrestia della chiesa di S. Nicola. Di fronte, sulla sommità di una scalinata, s’innalza la Chiesa Madre di S. Nicola vescovo. Al suo interno, possiamo ammirare una statua cinquecentesca di San Rocco, un affresco del battesimo di Gesù, una statua di San Nicola e un crocifisso ligneo. Nel tragitto si scorgono Palazzi impreziositi da pregevoli portali come Palazzo Giorgio del ‘600 e Palazzo D’Erario, residenza dell’omonima famiglia presente a Tolve fin dal XV secolo. Nei pressi del palazzo incrociamo l’arco D’Erario, una delle quattro porte dell’antica cinta muraria. Alla sua destra vi è la casa della mammana, riconoscibile dallo stemma del Comune e dalle tracce del foro circolare attraverso il quale venivano fatti passare i neonati abbandonati. Tra corso Garibaldi e via S. Giovanni, troviamo Palazzo Florenzano, il cui nome proviene da una delle famiglie più antiche del paese, insediatasi a Tolve dalla II metà del ‘400 insieme ai d’Erario, ai Cavallo, ai Pappalardo e ai Fiore.
Costruita tra il 1670 ed il 1680 come sede dell’omonima confraternita, la chiesa del Purgatorio o chiesa di Sant Angelo, conserva meravigliosi affreschi di scuola napoletana raffiguranti la morte.
Nei pressi di piazza Mario Pagano troviamo il convento di S. Francesco, eretto nel 1585. Dell’antica fabbrica conventuale non esiste ormai più alcuna traccia, perché, in seguito alle due soppressioni del 1809 e del 1866, i locali furono smembrati e adibiti in parte a pubblici uffici, in parte venduti a cittadini privati. Attualmente è sede del municipio che al suo interno ospita una biblioteca. .
Nei pressi del Cimitero, vi è il convento dei cappuccini, fondato da frate Crisostomo da Rivello negli anni 1583-1585. Dal 1602 diventa sede di un importante studio di teologia e filosofia. Soppresso durante il decennio francese, è riaperto nel 1817. Tre anni dopo diviene sede di uno studio teologico e nel 1859 vi sorge un ginnasio. È definitivamente soppresso nel 1866.
Nella campagna si conservano i resti di diverse chiese monastiche. Molto importanti sono le chiese di Santa Maria degli Olivi e Santa Margherita, due dipendenze dell’abbazia di Montevergine (Avellino) nel territorio di Tolve già negli ultimi anni del XII secolo. A Differenza delle altre chiese verginiane documentate in Basilicata, a Santa Maria e Santa Margherita erano stabilmente residenti dei monaci preposti all’ufficiatura del culto. Le due chiese compaiono in diversi documenti di Federico II e nelle bolle dei papi Alessandro IV e Urbano IV. Il priorato verginiano di Tolve fu soppresso nel 1567, i beni venduti due anni dopo ed il titolo della chiesa passato alla cappella del Convento del Cappuccini che in quegli anni si stava edificando. Delle due chiese è tuttora visibile solo quella di Santa Maria, nella contrada omonima appena fuori dall’abitato di Tolve.
A protezione e tutela delle anime dei morti appestati nella seconda metà del XVII secolo, fu costruita la chiesetta della Madonna del Carmine. Quando le necessità di sepoltura cessarono, l’attenzione e la devozione dei tolvesi verso questa chiesetta rurale e verso la Madonna del Carmine divennero sempre più forti. In questi anni la chiesetta è stata restaurata ed è tornata agli antichi splendori. La tradizione vuole che il 16 luglio i tolvesi si rechino in processione alla Cappella al seguito di diverse ragazze vestite da giovani vergini per offrire preghiere e suppliche di pronte nozze alla Madonna raffigurata nel bellissimo affresco dell’altare maggiore.
Se le chiese costituiscono importanti luoghi di culto e devozione per i tolvesi, il Ponte Vecchio o ponte del Diavolo è uno dei simboli del paese. La sua origine è incerta. Per alcuni studiosi, il ponte avrebbe permesso il passaggio delle truppe di Varo di ritorno a Roma, dopo essere state sconfitte da Annibale nella battaglia di Canne. È una struttura ad arco a tutto sesto di impianto romano e databile non oltre il V secolo. Il ponte deve la sua costruzione demoniaca al periodo medievale, quando era abbastanza comune attribuire ogni tipo di cavalcavia fluviale al “Diavolo”.
Tolve è la Città di San Rocco in Basilicata ed il suo nome, il più diffuso in regione, è da sempre legato al suo Santo patrono. “Tolve è mia e io la proteggo”. È il monito, con cui il Santo afferma da oltre tre secoli il suo ruolo di protettore di Tolve. Il culto rocchiano ha attraversato secoli ed il legame filiale che, ancora oggi unisce i tolvesi al “loro” Santo, si è man mano rafforzato, scandendo i tempi della vita stessa del paese.
Almeno fino al XVIII secolo, però, il Santo patrono di Tolve è stato San Nicola di Bari, al quale è dedicata ancora oggi la Chiesa Madre. L’inizio del culto di San Rocco a Tolve è strettamente legato alla peste nera che devastò il Regno di Napoli tra il 1656 e il 1657, quando il ricorso al patronato di più Santi è rilevato in molti centri delle Province del Regno.
Lungo il suo pellegrinaggio, il Santo era stato colpito dalla peste che gli aveva procurato delle piaghe. Per questo i pellegrini si rivolgevano a Lui per chiedere miracoli e guarigioni da gravi ferite. Questi erano soliti cospargersi di un olio miracoloso prelevato ai piedi della statua. Uno studio scientifico sulle guarigioni riporta che l’olio faceva miracoli, una volta preso e portato ai piedi della statua, e dopo una processione che da Tolve raggiungeva la Chiesa del Belvedere di Oppido. Nella chiesa l’olio veniva conservato in nicchie piene di ragnatele e muffe contenenti quindi la penicillina che all’epoca non era ancora stata scoperta. Dunque, il probabile effetto miracoloso dell’olio era dovuto alla sua natura di antibiotico.
A Tolve, al fianco dell’allora patrono San Nicola, fu innalzato, quindi, agli onori dell’altare locale anche san Rocco. Il riconosciuto ruolo di taumaturgo del Santo è alla base della straordinaria diffusione della devozione di San Rocco nel Mezzogiorno d’Italia con la maggiore presenza di altari patronali a lui dedicati.
Il culto del Santo di Montpellier fu talmente coinvolgente che i Signori di Tolve, Francesco Carafa e la moglie Faustina Pignatelli, commissionarono i lavori di ampliamento della Chiesa Madre che terminarono nella metà del ‘700. Già allora, la chiesa, aveva iniziato a ricoprire quel ruolo di Santuario che le è stato ufficialmente riconosciuto in occasione del Giubileo del 2000.
All’inizio del Novecento, il clero e l’Arciconfraternita del Glorioso San Rocco crearono la seconda festa patronale del mese di settembre, una vera peculiarità del culto rocchiano Tolvese. Tolve festeggia il suo patrono eccezionalmente il 16 agosto ed il 16 settembre. Ancora oggi le migliaia di pellegrini che raggiungono Tolve s’imbattono in manifestazioni di sentita religiosità.
Dal Sacro del culto di San Rocco al profano delle leggende. Una delle leggende tolvesi chiamata “Danza degli Spettri” narra che, durante la festa di nozze della figlia del Duca di Tolve, nel lontano 1561, un rumore sordo azzittì musici ed invitati. Una terribile scossa di terremoto si scatenò con tutta la sua violenza. Una parte del castello, dove si stava svolgendo la festa, incominciò a staccarsi dal resto della struttura e precipitò nella rupe sottostante, per decine di metri, trascinando nel torrente situato a valle gli sventurati invitati. A Tolve, ancora oggi nelle notti di luna piena, a ridosso del torrente, riecheggiano i suoni della festa, i canti e i passi di danza degli invitati, ma anche le urla disperate di chi è precipitato nel vuoto.
Il territorio è caratterizzato da estese colture cerealicole interrotte a tratti da oliveti e da antichi lembi residui dei boschi.
Anche a Tolve, come nel resto della Basilicata si mangiano prelibatezze a partire dall'acqua sale un piatto tipico della tradizione lucana contadina usato dai contadini lucani per riciclare e consumare il pane raffermo con pane biscottato, olio extravergine di oliva, peperoni cruschi scottati in olio bollente e/o salame al posto del pomodoro o con l’uovo. I “Cim ch’ cozz”, gli strascinati e le chiancarelle con le verdure di cardo, zuppe di legumi, l’agnello con il cardo o il finocchietto selvatico tipico della Pasqua, come dolci i taralli e mostaccioli, biscotti col mosto cotto.
Un territorio dove le bellezze paesaggistiche e monumentali fanno da cornice ad un passato importante che ancora riecheggia nei vicoli del borgo. Qui le tradizioni si uniscono all’incommensurabile legame degli abitanti al suo Patrono, espressioni di un percorso devozionale che ripete i segni di una ritualità senza tempo.